Interventi e interviste
Interviste - Capo di Gabinetto
15.04.2011
150° anniversario dell'Unità d'Italia, intervista al prefetto Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del ministero dell'Interno
Il Ministero dell’Interno ha accompagnato la storia dell’unificazione del Paese dal 1861 in poi, svolgendo fin dalle origini un ruolo di protezione dell’ordine costituito. Per molti questo ha segnato il Ministero, le Prefetture e gli uomini che vi lavorano di una marcata connotazione 'conservatrice'. Per Lei, che vive l’Amministrazione dell’Interno, 'dal di dentro', in un momento di grande dinamismo politico e istituzionale, quanto lo stereotipo corrisponde alla realtà?
Ritengo che non di rado possano essere state fraintese le tradizionali vocazioni dell’Amministrazione dell’Interno e dei prefetti ad essere, in ogni contesto storico, economico e politico, strumenti di garanzia dell’unitarietà dell’ordinamento e della coesione sociale, istituzionale e territoriale.
Al contrario, la naturale apertura alla società civile ed alle sue evoluzioni è testimoniata dal fatto che già nel lontano 1859 Guerrazzi sottolineava che il Ministero dell’Interno, attraverso i prefetti, svolgeva soprattutto una attenta opera di ascolto dei cittadini e di monitoraggio dei fenomeni sociali emergenti.
L’istituto, insomma, si regge su ragioni giuridiche e di tradizione storica, ma anche su moderni elementi di etica dell’azione pubblica di cui i cittadini, soprattutto in una società evoluta, avvertono la necessità.
Del resto, la continua tensione tra tradizione e modernità della figura del prefetto si lega in qualche modo all’apparente contradditorietà delle sue più caratteristiche funzioni. Gli sono, infatti, affidati i rigorosi compiti dell’Autorità di pubblica sicurezza ma, nel contempo, anche quelli di garanzia e di mediazione dei conflitti; le funzioni di tutela delle libertà sindacali e di garanzia dei servizi pubblici essenziali; di garanzia di solerzia ed efficienza nella conclusione degli appalti pubblici e di contrasto alle infiltrazioni mafiose nella realizzazione delle opere pubbliche.
Più specificamente, rappresenta da un lato lo Stato sul territorio e, dall’altra, le esigenze del territorio nei confronti dello Stato.
Il valore aggiunto dei prefetti è proprio quello del saper dominare le variabili del sistema che investono trasversalmente le dinamiche del territorio.
Ed è proprio attraverso questa sua peculiarità che il Ministero dell’Interno accompagna da sempre la società italiana nella sua evoluzione.
Quali sono, secondo lei, gli eventi più rilevanti legati all’evoluzione dell’Amministrazione e quali cambiamenti Lei personalmente ha vissuto con maggiore intensità?
Le fondamentali tappe storiche dell’Amministrazione sono indubbiamente legate all’evoluzione del prefetto.
Introdotto in Italia nel 1802 durante il dominio napoleonico, l’istituto trova la sua consacrazione nell’Italia unita nel 1861 con il Regio Decreto 250. E con l’importante legge di unificazione amministrativa n. 2248 del 1865 il prefetto diviene uno degli strumenti fondamentali della realizzazione dell’Unità d’Italia, assumendo – oserei dire, sul piano istituzionale - una funzione analoga a quella che, nei secoli, avevano rappresentato la lingua, la cultura e la storia per l’intera nazione italiana.
L’istituto ha poi vissuto complesse vicende fino al passaggio cruciale all’ordinamento repubblicano, momento storico in cui la solidità e l’affidabilità del prefetto ne hanno fatto un elemento che, tuttora, non lascia immaginare alternative più efficaci.
Nello Stato Repubblicano, infatti, egli si è confermato, con assoluta fedeltà al quadro costituzionale, un elemento di propagazione e di continuità dell’azione di governo in tutte le articolazioni ed un esempio di amministrazione efficace ed incisiva, in posizione di neutralità.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, ho ricordi molto forti dei periodi che hanno riguardato la prima attuazione del decentramento amministrativo degli anni ’70 e la riforma epocale dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza del 1981.
I più giovani funzionari dell’Amministrazione dell’Interno avvertirono l’importanza della nuova sfida che li aspettava: continuare ad essere interpreti delle più importanti funzioni dello Stato unitario anche nei nuovi delicati scenari.
Sono convinto che i prefetti abbiano superato positivamente quell’esame proiettandosi con rinnovata solidità verso i decenni successivi, allorquando le ulteriori spinte verso l’affermazione del sistema delle autonomie sono culminate nella riforma del Titolo V della Costituzione del 2001.
Il rinnovato assetto dei livelli di governo su un piano di equiordinazione ha richiesto, poi, ai prefetti di interpretare in modo nuovo la loro funzione più antica. Ed essi ci sono riusciti incarnando puntualmente i principi – di rinnovata affermazione costituzionale – di leale collaborazione, di sussidiarietà e di unitarietà dell’ordinamento.
Il trasferimento delle funzioni statali alle regioni nel 1976, che ha comportato il ridimensionamento del numero delle Direzioni Generali da 7 a 5, e la riforma dell’ordinamento della Polizia di Stato nel 1981 rappresentano eventi significativi per l’Amministrazione, di cambiamento strutturale oltre che organizzativo. Cosa ricorda di questi momenti?
Come appunto dicevo, sono state riforme che hanno inciso profondamente sul ruolo del Ministero dell’Interno e del prefetto.
Si è trattato di un periodo di rinnovamento tanto più importante in quanto legato ad un più generale processo di modernizzazione della nostra società.
In quegli anni si prendeva atto della maturità acquisita dalle comunità locali, tale da imporre l’affermazione di una loro maggiore autonomia. Si prendeva atto, altresì, del fatto che tutte le componenti dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza erano oramai indefettibilmente caratterizzate dalla esclusiva vocazione di servizio alle istituzioni democratiche ed ai cittadini.
Come ho già prima accennato, tutti i funzionari dell’Amministrazione avvertirono la consapevolezza di vivere un’importante stagione di riforme la cui attuazione avrebbe impegnato soprattutto i più giovani, che avevano più tempo per realizzare quelle istanze di progresso della società che erano alla base di quelle innovazioni.
Dopo la seconda parziale devoluzione di competenze statali alle regioni e agli enti locali del 1997, l’ultimo grande cambiamento è nel biennio 2000-2001: la riforma del Corpo prefettizio e il riordinamento degli uffici centrali e periferici dell’Amministrazione. Qual è la logica che ha guidato questa importante ridefinizione dell’organizzazione amministrativa? Quali le difficoltà, le resistenze, anche di tipo culturale, che ha dovuto affrontare l’Amministrazione?
In questa fase si sono delineati meglio i termini in cui il prefetto esercita la missione di amministrazione generale.
Sono andati, infatti, definitivamente assottigliandosi gli ambiti nei quali il Ministero dell’Interno - e per esso i prefetti – esercita funzioni di amministrazione attiva, in linea con il mutato disegno costituzionale tendente a collocare la titolarità di tali funzioni ai livelli di governo più direttamente espressione delle collettività locali.
Parallelamente, il ruolo del prefetto è stato notevolmente accresciuto per tutti quegli ambiti che sono espressione della più generale garanzia di coesione sociale, istituzionale e territoriale. Lo stesso concetto di sicurezza ne è uscito ridefinito quale bene pubblico funzionale ad assicurare il pacifico godimento ed il conseguimento dei diritti fondamentali; la funzionalità e la coerenza con il quadro costituzionale del sistema delle decisioni pubbliche; l’orientamento delle azioni pubbliche verso la percezione dei bisogni della società.
Vi è stata, insomma – nel segno della sussidiarietà - una riconfigurazione di un nuovo ruolo del prefetto in generale e del prefetto in particolare come Rappresentante dello Stato e del Governo: un prefetto più vicino al territorio e ai Governi che sul territorio animano la loro azione, ma soprattutto più vicino ai bisogni dei cittadini che vivono sul territorio, tesi a ricevere risposte alle loro aspettative, proprio da parte dei responsabili della Cosa pubblica.
La riforma della carriera prefettizia, approvata dal Parlamento proprio in quegli anni, ha definito più puntualmente la missione e le competenze del funzionario generalista, sottolineando in particolare la sua responsabilità come garante dei diritti.
A distanza di 10 anni sono ormai maturi i tempi per un bilancio che registra, accanto ad innegabili zone di luce, il permanere di coni d’ombra.
Perdura ancora il prevalere di una cultura giuridico-amministrativa - che, certo, per un funzionario prefettizio, è comunque insostituibile - ma è forse ancora insufficiente l’integrazione di questa professionalità con i tratti salienti di quella più specificamente manageriale quali l’amministrare per obiettivi. In questo campo molto si è fatto ma occorre superare molte rigidità e ci sono significativi spazi per migliorare.
Infine, è rimasta inattuata la volontà del legislatore di individuare nel prefetto e nell’Ufficio Territoriale del Governo i rappresentanti periferici di tutte le Amministrazioni Statali nell’esercizio di compiti e funzioni relativi alle materie che il nuovo articolo 117 della Costituzione attribuisce, in via esclusiva, alla Amministrazione Centrale.
In particolare, le Prefetture come hanno vissuto il momento del cambiamento, specie nel rinnovato rapporto di collaborazione con gli enti locali? Da questa relazione le strutture periferiche hanno tratto un vantaggio in termini di soddisfazione del cittadino per i servizi resi?
La collaborazione con gli enti locali è nel DNA dell’Amministrazione dell’Interno e le maggiori responsabilità politiche dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia hanno reso ancora più intenso il rapporto con il prefetto che, nella maggioranza dei casi, posso affermarlo tranquillamente, viene percepito come un punto di equilibrio ed elemento di garanzia non solo dagli amministratori locali, ma anche dai cittadini.
L’evoluzione di questo tradizionale rapporto di collaborazione ha visto il prefetto abbandonare progressivamente l’originaria funzione di “tutela” a beneficio di una più moderna ed importante funzione di 'sussidiarietà'.
Il prefetto è sempre di più il fondamentale anello di chiusura del sistema, di cui garantisce la tenuta in tutte quelle situazioni in cui la fisiologia di un quadro istituzionale policentrico manifesta momenti di criticità.
E’ proprio tale connotazione a far percepire sempre più ai cittadini la figura del prefetto come quella dell’ultima istanza a cui rivolgersi in caso di necessità.
Proprio per questa opportunità di diretto rapporto con la cittadinanza ed i suoi bisogni, le Prefetture costituiscono, anche grazie ai favorevoli contatti con l’insieme del mondo pubblico, momento di aggregazione per la conoscenza e l’affidabile interpretazione della realtà territoriale in tutti i suoi profili, sociali, economici, culturali e politici.
Come conseguenza di questa riforma, a suo avviso, è migliorato il rapporto centro-periferia?
Si è compiutamente affermata ed è sicuramente migliorata la leale collaborazione tra i vari livelli istituzionali e di governo, che è, ormai, la normale dimensione operativa dei prefetti e delle Prefetture e, nel complesso, altrettanto si può dire degli amministratori locali.
I prefetti, anche in virtù della profonda conoscenza delle realtà locali in cui operano e attraverso l’ausilio delle conferenze permanenti, possono – in piena coerenza con i principi del federalismo “solidale” - promuovere la necessaria integrazione delle informazioni utili ad una determinazione partecipata dei livelli essenziali delle prestazioni, la cui individuazione parte, come è logico che sia, dal territorio.
Si è, insomma, rafforzata quella peculiarità dell’istituto che – attraverso la combinazione della tradizionale componente identitaria con il variare storico del complesso delle sue attribuzioni – lo caratterizzano come organo per così dire 'a geometria variabile'.
Si tratta di quel ruolo che, già nel 1859, il Guerrazzi così descriveva: i prefetti sono ... «organi del Governo rispetto alla popolazione ed organi di questa rispetto al Governo».
Un ruolo che ha sicuramente favorito nel Paese l’osmosi tra il centro ed i territori, contribuendo all’affermazione di una identità nazionale solida ed incontrovertibile dell’Italia, quell’identità che già in tempi lontani anche i nostri grandi poeti celebravano: «... il bel paese ch’Appenin parte e l’mar circonda e l’Alpe», per ricordare i versi del Petrarca.
I prefetti, questi sconosciuti ... ormai sono 'conosciuti'? Un gioco di parole per comprendere meglio quale ruolo rivestono oggi, ad oltre 200 anni dalla loro istituzione.
All’azione svolta dai mezzi di comunicazione di massa ha corrisposto un progressivo sviluppo della capacità di comunicazione dell’Amministrazione e dei prefetti. Illuminanti a questo punto sono i dati relativi al portale istituzionale che dal 1° gennaio al 31 dicembre 2010 ha registrato 5.614.000 accessi e 16.000.000 pagine visualizzate.
Ritorno un po’ alla domanda iniziale di questa intervista per dire che, anche da questo punto di vista, i prefetti manifestano da tempo la loro modernità.
Oggi i prefetti sono più conosciuti e riconosciuti nella società civile in cui operano perché interloquiscono di più e meglio con gli organi di informazione, raccontano la propria attività e le proprie esperienze. Da tempo, cioè, hanno abbandonato quella ritrosia che, comunque, ha caratterizzato un’epoca in cui si riteneva che fra le prime connotazioni dell’azione amministrativa dovesse esserci la riservatezza, fermo restando – mi sembra ovvio - che quest’ultima è tuttora una qualità indispensabile delle funzioni ad essi affidate.
Oggi i prefetti interpretano al meglio le istanze di trasparenza che provengono da una società sempre più fondata sulla comunicazione globale e veloce.
La capacità di comunicare, infatti, fa sempre più parte del bagaglio culturale e professionale dei prefetti. Non è un caso che sia ricompresa, ormai sistematicamente, nei programmi che la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno riserva alla formazione dei funzionari della carriera prefettizia.
Il Palazzo del Viminale si appresta a festeggiare i suoi primi 100 anni. Quali sono le iniziative previste per questo prestigioso compleanno?
Il Ministero si appresta a celebrare l’importante ricorrenza con due particolari iniziative.
La prima prevede la presentazione del nuovo logo del Ministero dell’Interno, simbolo grafico risultato vincitore di un concorso nazionale di idee, bandito al fine di rendere immediate e riconoscibili l’identità e la mission di una Amministrazione che intende continuare a porsi come punto di riferimento per i cittadini rispetto a temi fondamentali della nostra attuale vita sociale, quali la sicurezza, la garanzia delle libertà civili e dei diritti democratici, le autonomie locali, le politiche che regolano l’immigrazione.
Tutto ciò, all’insegna della modernità e nel solco della tradizione istituzionale.
Alla manifestazione è prevista, tra le altre, la partecipazione di vertici politici e amministrativi del Ministero, dei prefetti dei capoluoghi di regione e degli ideatori del logo.
La seconda iniziativa, programmata per l’11 luglio 2011, si terrà al Viminale alla presenza del Capo dello Stato e dei Ministri dell’Interno degli ultimi decenni, e riguarda la presentazione, da parte del Ministro dell’Interno, di un volume fotografico di alto pregio artistico, intitolato “Il Viminale – 1911/2011. I Cent’anni di un Palazzo istituzionale italiano”, nonché le proiezioni di un video, realizzato dalla casa editrice del volume e di un video, realizzato dalla RAI, sulla storia del Palazzo del Viminale.
Come è noto, l’edificio è il frutto di un progetto dell’architetto Manfredo Manfredi su incarico, nel 1911, dell’allora Presidente del Consiglio del Regno d’Italia Giovanni Giolitti.
Fino al 1961 il Palazzo Viminale ha costituito la sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Interno, incarichi che, all’epoca, facevano capo ad una medesima personalità.
Successivamente, a seguito del trasferimento della Presidenza del Consiglio a Palazzo Chigi, l’edifico è divenuto sede esclusiva del Ministero dell’Interno e oggi costituisce ancora la casa-madre di tutti i prefetti, nella loro qualità di rappresentanti del Governo sul territorio nazionale.
Un suo pensiero sul ruolo futuro dell’Amministrazione dell’Interno ... Ritengo siano sinora emerse fondate ragioni per considerare che l’Amministrazione dell’Interno sia destinata a rimanere ancora per lungo tempo un’Amministrazione “a fini generali”, chiamata a presidiare interessi generali della collettività nazionale e sempre pronta a schierarsi sui più diversi fronti delle emergenze sociali, rispetto alle quali rappresenta ancora oggi un inesauribile serbatoio di competenze, professionalità e spirito di servizio.
Sicuramente la configurazione di uno Stato 'sussidiario' e, pertanto, più leggero, più orientato a svolgere le funzioni essenziali per la crescita e la difesa di una civile convivenza - e, nel contempo, responsabile di garantire i diritti civili e sociali del cittadino, autorevole nel sollecitare e sostenere i governi locali e regionali nell’assolvimento della loro delicata missione istituzionale - rappresenta un grande sfida che siamo pronti ad affrontare.