Interventi e interviste
Interviste - Altre
13.11.2013
Stato, associazioni, vittime… la forza del sistema contro estorsione ed usura
Intervista a Silvana Fucito e Tano Grassodi Michele Ciervo e Massimo Geria
Storie di donne, di associazionismo, di troppi silenzi e solitudini che lasciano cicatrici profonde in un tessuto sociale che può e deve essere recuperato. E’ il coraggio declinato al femminile per proteggere chi si ama, la propria famiglia, e si scaglia contro chi non ha scrupoli, contro l’estorsione, la paura di non farcela, l’isolamento.
Quelle raccontate oggi al Viminale, a margine della presentazione della relazione annuale del commissario antiracket e antiusura, sono cinque testimonianze di donne e della loro lotta ai clan e all’estorsione. Attraverso i mezzi di comunicazione, megafono delle loro esperienze, si rivolgono alla società in cerca di ascolto e sostegno. Sono storie da sostenere, tutelare e far conoscere perché siano un esempio per quanti il coraggio e la fiducia nel sistema non sono ancora riusciti a trovarli.
Al termine dell’incontro, la redazione di interno.it ha avuto modo di parlare con Silvana Fucito, imprenditrice simbolo della lotta contro il pizzo a Napoli, Cavaliere del lavoro e presidente dell’associazione ‘San Giovanni a Teduccio per la legalità’, e con Tano Grasso, fondatore e presidente onorario della Fai – Federazione delle associazioni antiracket ed antiusura italiane. Nelle loro parole, piene di speranza, la coscienza che Stato, associazioni, società e vittime sono la ‘rete’, la vera forza del sistema contro il racket e l’usura.
Signora Fucito, i suoi estorsori hanno avuto a che fare con una persona per nulla spaventata dalle conseguenze nelle quali poteva incorrere e che, essendo donna, si trovava in una condizione ancor più debole. Quanto ha influito l’aiuto e l’interessamento di Tano Grasso, presidente della Federazione delle associazioni antiracket ed antiusura italiane?
«L’influenza iniziale nel mio caso è stata zero, io non conoscevo Tano Grasso all’epoca né dell’esistenza dell’Associazione italiana antiracket né tantomeno che ci fosse addirittura una legge che tutelasse le persone vittime di estorsioni. La denuncia fu fatta impulsivamente, io e mio marito ci lanciammo in questa avventura con grande incoscienza, solo successivamente la mia fortuna è stata quella di incontrare Tano Grasso. Ma il grande passo era già stato fatto, dovevo solo mantenere le mie posizioni ed accollarmi la responsabilità delle mie azioni»
La sua e quella delle donne che oggi hanno testimoniato è quella di una ‘storia di successo della solidarietà’, di persone che hanno lottato ed avuto poi l’aiuto delle Istituzioni. Ma oggi qual è la situazione nel napoletano, il suo territorio? Cosa manca secondo lei per dichiarare il successo generale nella lotta al racket?
«Di successi ne abbiamo avuti tanti ed anche le testimonianze delle altre quattro donne che abbiamo appena sentito dimostrano che veramente ci si può fidare dello Stato e ci si può ribellare al racket. Cosa manca? Che la gente deve essere scossa. Io noto una certa pigrizia anche se lo capisco perché denunciare comporta tanti problemi, mesi di indagini e un continuo via vai dal tribunale. La lentezza dei processi rallenta la volontà delle persone. Ma la cosa più importante è la partecipazione del cittadino, sono gli imprenditori che devono decidere, fare il primo passo, che devono capire che lo Stato c’è, se chiamato. Se lo Stato non lo si chiama a rapporto non potrà mai aiutarci.
Altra cosa importante è pubblicizzare l’attività delle associazioni, far sapere alla gente quali sono gli strumenti per agire. Fino a poco tempo fa noi vittime del racket e dell’usura abbiamo vissuto di volontariato, oggi con il Pon Sicurezza abbiamo i fondi anche per fare pubblicità per andare in giro a ‘far sapere’».
Chi è vittima degli estorsori vive nel silenzio e nella solitudine. Quanto è stato importante nel suo caso ritrovare il ‘senso di comunità’?
«Mi ricollego a quanto ho detto prima, io non sapevo di avere tante persone intorno, l’ho saputo dopo aver denunciato. Oggi offro questa possibilità agli altri. Noi come Associazione italiana antiracket diamo la possibilità alle vittime di non essere sole, di avere assistenza sin dal primo incontro ed il sostegno di altri imprenditori che hanno subito prima di loro un’estorsione. Le aiutiamo a denunciare, le accompagniamo poi in tribunale e poi restiamo ‘amici a vita’».
Presidente Grasso, lei è il capostipite della lotta al racket ed all’usura. Ci può sintetizzare i ‘passaggi salienti e significativi’ dei trent’anni di vita della Federazione delle associazioni antiracket ed antiusura italiane?
«Sicuramente ciò che è stato più volte detto oggi, ovvero la creazione del Fondo di solidarietà e soprattutto la legge antiusura inventata da Giovanni Falcone nel 1991 e messa a regime con la legge n.44 del 1999. Attraverso questa norma lo Stato risolve un grande e grave problema delle vittime cioè quello della propria sicurezza aziendale. Nel momento in cui gli imprenditori vengono risarciti interamente del danno subito viene meno una delle ragioni che ostacolava la denuncia. La legislazione di solidarietà è stato il vero punto di svolta».
A suo giudizio, cosa può fare lo Stato di più per le vittime, per tutti coloro che hanno la forza di denunciare le estorsioni che subiscono?
«Lo Stato interviene bene ed efficacemente ma bisogna incoraggiare le associazioni antiracket. Come ha spiegato bene il ministro Alfano oggi il tema della sicurezza e della libertà dei mercati non può essere affrontato solo dallo Stato. La risposta funziona solo se c’è anche la società. Nel nostro caso gli imprenditori, per questo la nascita, la crescita e lo sviluppo delle associazioni antiracket diventano un fattore strategico e decisivo».