Silvana Fucito
Sono un’imprenditrice napoletana. Mi chiamo Silvana Fucito. Fin dal 1998, il mio negozio di vernici fu preso di mira dagli estorsori di tre clan camorristici di San Giovanni a Teduccio. Le loro iniziali richieste estorsive, peraltro di modeste entità, qualche barattolo di vernice e pochi spiccioli, ci spaventarono e per quieto vivere decidemmo di pagare.
Ci rendemmo subito conto di aver sbagliato a cedere alle pressioni dei clan; eravamo consapevoli che la nostra iniziale debolezza ci avrebbe procurato gravi problemi. Hanno continuato a chiederci di pagare per anni. Fino al 2002 mi adeguai alle loro richieste, ma poi decisi di non farlo più. Un rifiuto netto da parte mia che non fu ovviamente bene accolto dai camorristi che iniziarono a minacciarci e cercarono di intimorire mio marito, presentandosi in azienda e prelevandolo con la forza per costringerlo a pagare.
Capii che era necessario reagire per difendere, in tutti i modi possibili, la mia famiglia e la mia attività. Per questo motivo, mi feci avanti in prima persona nella estenuante trattativa con i clan. Osai sfidarli e gli dissi che da qual momento in poi dovevano trattare con me. La cosa li innervosì moltissimo. Oggi credo che forse si siano sentiti quasi offesi a doversi confrontare con una donna determinata e per nulla spaventata dalle conseguenze.
Il 19 settembre dello stesso anno diedero fuoco al mio negozio. Avevo intrapreso una strada senza uscita, mettermi contro i clan significava solo una cosa: denunciare i miei estorsori. La mia vita si era frantumata in mille pezzi, proprio come il mio negozio, ma dovevo farmi forza e andare avanti.
Decisi di riaprire subito la mia attività, ma in un altro comune vesuviano, Portici, dove ancora oggi vivo. Insieme ai miei familiari più cari, quelli che non mi hanno mai lasciata sola (mio marito e i miei figli), scelsi di chiedere aiuto alle forze dell’ordine.
Ma intorno a noi si fece il vuoto. Venimmo abbandonati da tutti, come se fossimo degli appestati. I nostri parenti più stretti avevano paura e ci lasciarono soli, proprio come gli amici. Il nostro negozio non riusciva in alcun modo a decollare e tutti erano preoccupati delle conseguenze del mio gesto e convinti che, prima o poi, ci sarebbe successo qualcosa di più grave.
Finalmente, però, qualcosa cambiò. Alla mia storia si interessò il presidente della prima associazione antiracket nata in Italia, Tano Grasso. Ancora oggi ricordo con emozione quell’incontro. Eravamo in una piccola chiesa del napoletano e prima ancora di parlare, riuscì a tranquillizzarmi con un grande abbraccio di solidarietà. Avviammo l’iter burocratico per accedere ai benefici di legge per le vittime delle estorsioni, che mi hanno consentito di essere risarcita di una parte dei danni ricevuti.
Nell’antiracket ho ritrovato la fiducia e la speranza. Mi sono impegnata per aiutare i tanti imprenditori caduti nella morsa del pizzo, mettendo in essere una campagna di sensibilizzazione che ha portato, a distanza di pochi anni, alla nascita del Coordinamento napoletano delle associazioni antiracket a antiusura, che presiedo.
I miei estorsori sono stati tutti arrestati.
A San Giovanni a Teduccio ho riaperto il mio negozio di vernici. Simbolo del nostro coraggio è una saracinesca lasciata volutamente annerita, per mantenere viva nella memoria di tutti l’importanza di denunciare e non sottostare al pizzo. Con gli anni le cose sono migliorate. Mentre prima, quando cercavo di rivolgermi agli operatori economici per sensibilizzarli sul tema venivo cacciata, adesso sono loro a cercarci perché si fidano. Segno che le cose possono cambiare.