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05.03.2003

"L'Italia si è unita nel dolore e nell'indignazione per la morte di Emanuele Petri e il ferimento di Bruno Fortunato. Quell'unità non deve venir meno"

Il Ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu ha riferito in Parlamento sul tragico conflitto a fuoco di domenica 2 marzo e sulla minaccia terroristica

PREMESSA

Signor Presidente, Onorevoli Deputati,
la violenza terroristica, produce pericoli gravi, lutto e dolore, soprattutto alle famiglie delle vittime.

Esprimo profonda solidarietà, a nome mio e dell'intero Governo, ai familiari del sovrintendente Petri eroicamente caduto nell'adempimento di un nobile dovere.

Analogo sentimento esprimo alla famiglia del sovrintendente Fortunato, che con altrettanto eroismo si è distinto nella cattura dei terroristi, subendo gravi ferite che fortunatamente migliorano di giorno in giorno.

Il mio sincero plauso e la mia ammirazione vanno anche al terzo componente della pattuglia della Polizia Ferroviaria, il sovrintendente Di Fonzo, che ha agito con grande generosità, coraggio e altissimo senso del dovere.

Per queste ragioni ho chiesto al Presidente della Repubblica di conferire la medaglia d'oro al valore civile ai nostri tre eroici sovrintendenti della Polizia Ferroviaria, una specialità che in questa occasione ha confermato le sue preziose capacità operative.

Una parola di cordoglio voglio dire, infine, ai familiari del terrorista Mario Galesi, caduto nel conflitto a fuoco, vittima delle sue folli idee politiche, ma pur sempre vittima, degna di umana pietà.


IL FATTO

Ecco, ora, la ricostruzione del fatto.

Alle ore 8,25 della passata domenica, nel quadro dei programmati servizi di prevenzione, una pattuglia della Polizia Ferroviaria, composta da tre sovrintendenti, è salita a bordo del diretto Roma-Firenze, alla stazione di Terontola (AR), per effettuare un controllo del convoglio ferroviario sino ad Arezzo.

Nella circostanza, sono stati identificati alcuni passeggeri, tra cui un uomo ed una donna, diretti ad Arezzo, seduti in uno scompartimento di seconda classe.

Mentre la pattuglia era in attesa di ricevere gli esiti dell'interrogazione ai terminali di polizia sui documenti esibiti dalla coppia - documenti successivamente rivelatisi falsi ed appartenenti ad un lotto di carte di identità rubato presso il Comune di Tivoli (RM) nel 2000 - l'uomo si è alzato improvvisamente in piedi e ha puntato una pistola calibro 7,65 alla tempia del Sovrintendente Emanuele Petri, intimando agli altri di non muoversi.

Alla pronta e coraggiosa reazione del poliziotto, che estraeva a sua volta l'arma in dotazione, seguiva un breve e sanguinoso conflitto a fuoco, nel corso del quale entrambi rimanevano gravemente feriti, accasciandosi a terra.

Contemporaneamente, gli altri due Sovrintendenti, uno dei quali ferito al fianco sinistro da un proiettile, dopo una concitata colluttazione, riuscivano ad immobilizzare anche la donna che, nella confusione, si era impossessata di un'arma.

Venivano altresì sequestrati documenti, sia cartacei che telematici, ora al vaglio dei magistrati.
 
Il personale sanitario, giunto pochi minuti dopo alla Stazione di Castiglion Fiorentino (AR) dove il convoglio era stato bloccato, constatava il decesso del Sovrintendente Petri, figlio di un appartenente alla Polizia di Stato in pensione, coniugato, con un figlio Angelo di 19 anni. Il giovane ha manifestato la propria aspirazione ad entrare in Polizia di Stato, segno di una educazione familiare che ha fatto della legalità una virtù domestica.

Il sovrintendente Bruno Fortunato - trasportato dapprima al nosocomio di Arezzo e successivamente al centro ospedaliero di Siena - veniva sottoposto ad intervento chirurgico per lesione epatica e del diaframma, con rimozione del proiettile.

L'aggressore, ricoverato in gravi condizioni, è deceduto nella stessa serata. Dagli accertamenti dattiloscopici effettuati dalla Polizia Scientifica è stato possibile risalire alla sua effettiva identità.

Si tratta del terrorista Mario Galesi, trentaseienne di Macerata, resosi irreperibile dal febbraio del 1998, allorché fu condannato dalla Corte di Appello di Roma a quattro anni di reclusione per aver compiuto insieme ad altre persone una rapina a mano armata in danno di un ufficio postale.

Durante la latitanza, è stato raggiunto da un nuovo provvedimento restrittivo emesso dall'Autorità Giudiziaria di Roma il 31 ottobre dello scorso anno "per aver partecipato con funzioni organizzative, all'associazione sovversiva costituita in banda armata che opera sotto la denominazione Brigate Rosse - Partito Comunista Combattente".

La donna, riconosciuta da un Ispettore della Sezione Antiterrorismo della Digos di Firenze per la terrorista Nadia Desdemona Lioce, subito dopo la cattura si è dichiarata " prigioniera politica" nonché " militante delle Brigate Rosse" e si è rifiutata di rispondere alle domande degli inquirenti.

La Lioce, originaria di Foggia, ha militato in passato nei Nuclei Comunisti Combattenti ed è stata compagna di Luigi Fuccini, appartenente alla medesima formazione eversiva, tratto in arresto nel febbraio del '95 a Roma, insieme al complice Fabio Matteini, mentre si accingevano a compiere una rapina ad un furgone postale.

Nella circostanza, la donna venne riconosciuta da alcuni testimoni mentre si trovava alla stazione ferroviaria di Livorno assieme ai due militanti degli NCC. Da questa data, pur in assenza di specifici provvedimenti giudiziari, si era resa irreperibile, ed era volontariamente entrata in clandestinità.

Nell'ottobre del 2002, sulla base di puntuali e approfondite indagini della Digos di Roma, è stata individuata come possibile appartenente alla nuova formazione terroristica delle BR-PCC e, grazie ai precisi riferimenti informativi, è stata colpita da un provvedimento di custodia cautelare, emesso nel medesimo contesto investigativo che ha determinato, per gli stessi fatti, un analogo provvedimento nei confronti del Galesi.

Nel pomeriggio di lunedi 3 marzo è pervenuta alla redazione genovese dell'Ansa una telefonata, che si potrebbe ritenere attendibile o comunque ricondurr1e ad una area di consenso al terrorismo, telefonata nel corso della quale l'anonimo interlocutore ha "rivendicato", a nome delle Brigate Rosse, la paternità morale dello scontro a fuoco e l'uccisione del Sovrintendente della Polizia di Stato, rendendo "onore" al compagno caduto.

Questi i fatti. Ora ci affidiamo all'opera preziosa degli investigatori. Il materiale che è nelle loro mani può far luce su molte circostanze e darci plausibili verità sul nuovo terrorismo delle BR-PCC e, in particolare, sugli omicidi D'Antona e Biagi che hanno offeso e ferito la coscienza democratica del nostro Paese.

Su queste indagini invoco estrema riservatezza e silenzio. La invoco con rammarico e rabbia.

Abbiamo bisogno di tutelare il segreto investigativo in ogni sede e in ogni circostanza, perché anche la più parziale delle violazioni può vanificare il lavoro difficile e oneroso degli investigatori e, peggio ancora, compromettere gli esiti finali delle indagini.

Per parte sua il Ministero dell'Interno non tollererà la benché minima, colpevole trasgressione.


L'ANALISI

Anche se è prematuro formulare ipotesi sullo scopo del viaggio dei due terroristi, in ordine al quale sono in corso indagini collegate fra le Procure Distrettuali competenti, il tragico episodio di domenica testimonia quanto attendibile fosse l'analisi che sottoposi all'attenzione della Camera dei Deputati il 27 gennaio scorso e quanto concreta ed attuale sia la minaccia terroristica interna, nel cui ambito è senz'altro centrale il ruolo delle BR-PCC.

Alla Camera, ho avuto modo di ricostruire la strategia delle Brigate Rosse negli anni del "silenzio", vale a dire nel periodo che va dall'omicidio del Senatore Ruffilli, avvenuto nel 1987, a quello del professor D'Antona, consumato nel maggio 1999.

Nel documento di rivendicazione di quel delitto viene, per la prima volta, esplicitato come siano stati proprio i Nuclei Comunisti Combattenti a rilanciare l'iniziativa rivoluzionaria armata, raccogliendo così l'eredità delle Brigate Rosse.

Nella successiva rivendicazione dell'omicidio del Professore Marco Biagi, l'assenza di riferimenti ai Nuclei Comunisti Combattenti deve dunque essere letta come indiretta conferma della confluenza di militanti dei Nuclei all'interno delle "nuove" Brigate Rosse.
Nella medesima prospettiva debbono essere altresì considerati i segnali che provengono dalle carceri, dove sono tuttora detenuti numerosi brigatisti irriducibili, da sempre custodi della più intransigente ortodossia.

Parlo innanzitutto delle dichiarazioni lette in aula dibattimentale dalla detenuta Vincenza Vaccaro nel maggio del 2002 e parlo del successivo documento consegnato da un gruppo di sei brigatisti irriducibili (Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli,  Flavio Lori, Fabio Ravalli e la stessa Vincenza Vaccaro) nel corso dell'ultima udienza del processo per l'omicidio del Generale Hunt e per la sanguinosa rapina di via Prati di Papa, risalenti rispettivamente al febbraio 1984 ed al febbraio 1987.

L'analisi dei documenti brigatisti ha consentito, sin dai giorni immediatamente successivi all'omicidio D'Antona, di indirizzare le indagini verso i personaggi emersi nell'ambito delle inchieste sugli NCC, ed in particolare nei confronti di quei militanti che, rendendosi irreperibili, avevano fatto ipotizzare un loro coinvolgimento nelle rivendicazioni firmate con la sigla Brigate Rosse.

Analogo interesse investigativo è stato riservato alla ricerca dei latitanti storici, ritenuti l'anello di congiunzione tra le vecchie e le nuove Brigate Rosse, parallelamente ai detenuti irriducibili.

In tale contesto, l'attenzione degli investigatori si è rivolta alle figure di Nadia Desdemona Lioce e di Mario Galesi.

Il loro arresto in circostanze drammatiche è un'evidente conferma dell'impegno profuso dagli inquirenti contro la criminalità eversiva; e, soprattutto dimostra la fondatezza dell'intuizione investigativa sulla quale si sono sviluppate complesse ed articolate indagini che fin dallo scorso ottobre mi hanno consentito di affermare che anche per gli omicidi D'Antona e Biagi non brancolavamo più nel buio. Ad ulteriore conferma di ciò, nella richiamata audizione del 27 gennaio, ho potuto testualmente dichiarare:

" Tra le operazioni più significative, merita un cenno quella conclusa nello scorso mese di ottobre, nel quadro delle indagini relative all'omicidio del prof. D'Antona, nei confronti dei terroristi Michele Mazzei, Francesco Donati, Francesco Galloni e Antonino Fosso  - tutti già condannati all'ergastolo per omicidio -  che nel carcere di Trani, secondo quanto finora accertato dalla magistratura, avevano elaborato documenti preparatori della rivendicazione dell'assassinio di via Salaria.

Nel medesimo contesto d'indagine, sono stati emessi provvedimenti ricordavo ancora di custodia cautelare in carcere nei confronti degli ex militanti dei Nuclei Comunisti Combattenti, Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi, accusati di appartenere alle BR-PCC."

 

L'AZIONE DI CONTRASTO

D'altra parte l'impegno degli apparati antiterrorismo aveva già consentito di individuare e catturare elementi di spicco delle BR-PCC, condannati per gravi delitti e latitanti all'estero. Penso, in particolare, a Paolo Persichetti, a Leonardo Bertulazzi e a Nicola Bortone, il quale, all'atto dell'arresto si è dichiarato "militante rivoluzionario" e si è chiuso nel silenzio.

Ma non sono solo questi i risultati degni di nota.

Complessivamente, dal gennaio del 2000 ad oggi, sono 277 gli arrestati riconducibili alle aree marxista-leninista, anarco-insurrezionalista e dell'antagonismo, 118 gli arrestati appartenenti all'estrema destra e 163 quelli accusati di terrorismo internazionale.

Tuttavia e anche dopo il duro colpo inferto alle BR domenica scorsa, la minaccia terroristica continua a incombere sul nostro Paese.

E proprio per fronteggiarla efficacemente abbiamo provveduto, specie nell'ultimo anno, a riorganizzare e rafforzare gli uffici DIGOS. Oltre alle 26 sezioni interprovinciali antiterrorismo che corrispondono alle nuove funzioni attribuite al pubblico ministero "distrettuale", sono stati costituiti Gruppi investigativi "ad hoc" presso le Questure di Bologna e Roma, e da ultimo, a Firenze: qui operano qualificati investigatori degli uffici centrali e territoriali, con il compito di sviluppare tutti i filoni d'indagine relativi agli omicidi D'Antona e Biagi, mettendo insieme le migliori professionalità e le più sofisticate tecnologie provenienti anche dalle Squadre Mobili e dalla Polizia delle Comunicazioni.

Su indicazione del Comitato Nazionale per la Sicurezza Pubblica, è stato da tempo attivato un "Gruppo di lavoro tecnico" per lo scambio informativo in materia di prevenzione e repressione del terrorismo, del quale fanno parte qualificati rappresentanti dell'Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, dei Servizi di sicurezza e del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.

Sono certo che la stretta e feconda collaborazione realizzata tra le Forze dell'ordine e i servizi di sicurezza, avrà pieno riscontro nei rapporti tra le Procure impegnate nelle indagini.

Particolare impulso è stato dato all'attività di prevenzione, sia attraverso il potenziamento della rete informativa, sia attraverso la sistematica riconsiderazione dell'intero patrimonio di conoscenze acquisito negli anni passati, al fine di cogliere nuovi spunti investigativi e alimentare analisi sempre più aggiornate ed attendibili.

In questa ottica ha assunto grande rilevanza il controllo del territorio e, in particolare di quei "territori in movimento" che si identificano con i mezzi di mobilità di massa (treni, aerei, navi).

Per dare una idea di questi controlli sottolineo che, solo nel 2002, la Polizia Ferroviaria ha identificato circa un milione di persone.

Perciò non sono certo casuali i controlli dai quali è scaturita la vicenda di domenica scorsa, così come lo è l'infittirsi della rete dei controlli territoriali che si realizzano sul piano nazionale secondo una precisa strategia comune a tutte le Forze dell'ordine, comprese anche quindi le polizie municipali.

L'azione di contrasto si è anche avvalsa degli istituti operativi introdotti con le nuove norme antiterrorismo.

Di notevole utilità sono risultate le intercettazioni preventive - telefoniche, ambientali e telematiche. Grazie ad esse, per esempio, è stato possibile localizzare e catturare in Svizzera, il brigatista Nicola Bortone.

Foriera di risultati positivi è stata anche l'attività di monitoraggio di Internet: l'informatica ed i "covi telematici" costituiscono, infatti, uno strumento ormai abituale di comunicazione e di incontro virtuale dei gruppi terroristici.

LINEE STRATEGICHE DELLE FORMAZIONI TERRORISTICHE

Dal complesso dell'attività svolta e dall'analisi della documentazione brigatista, compresa quella proveniente dal circuito "carcerario", gli inquirenti hanno potuto trarre le direttrici strategiche che sembrano ora orientare l'azione delle Brigate Rosse.

Sull'argomento mi sia consentito, per brevità, di richiamare ancora una volta il mio intervento del 27 gennaio e la vasta documentazione che, col suo permesso Onorevole Presidente, vorrei consegnare agli atti dell'assemblea.

Qui mi preme osservare che le Brigate Rosse si definiscono una "forza rivoluzionaria che opera come un esercito rivoluzionario", e agisce soprattutto su un piano "nazionale" per la costruzione del Partito Comunista Combattente.

Esse affermano che l'iniziativa armata, fondata su una prospettiva di "guerra di lunga durata", deve tendere a "disarticolare l'equilibrio politico dominante" e a colpire quelle figure istituzionali che si pongono come elementi di mediazione nei conflitti sociali in atto.

La dimensione nazionale, la questione sociale con particolare riferimento alla ristrutturazione del mercato del lavoro, sembrano nettamente prevalere sulle consuete opzioni internazionaliste e sulla stessa ambizione ad aggregare, proprio all'insegna dell'antimperialismo, la galassia terrorista di matrice marxista-leninista.

La conferma più chiara di ciò viene dalla lettura dei passi cruciali delle due rivendicazioni degli omicidi D'Antona e Biagi.

E infatti mentre la prima rivendicazione accusa il Governo D'Alema di aver avallato un nuovo sistema neo-corporativo di concertazione con la Confindustria ed i Sindacati, la seconda accusa il Governo Berlusconi di aver adottato il progetto Biagi per la "Ridefinizione delle relazioni neo-corporative con la Confindustria e il sindacato confederale".

Insomma, il sistema politico si bipolarizza, cambiano i governi, cambiano i programmi, ma, nella sostanza come nei toni, non cambiano le accuse delle nuove BR e non cambiano i loro bersagli. E la ragione è evidente: esse vogliono colpire  i Governi in quanto tali, in quanto espressioni di una democrazia parlamentare da sovvertire e abbattere.
Ecco: abbattere la democrazia, questo è l'obiettivo finale delle nuove BR-PCC. Nell'immediato, esse mirano, da un lato, a deviare il conflitto politico e sociale dal suo naturale alveo democratico e, dall'altro lato, a suscitare la risposta repressiva dello Stato contro le forze rivoluzionarie. Va da sé che la repressione dello Stato giustificherebbe la "Violenza difensiva" delle bande armate, come è tornato a spiegarci uno dei cattivi maestri degli anni di piombo, favorendo lo sviluppo di un movimento nuovo per la trasformazione rivoluzionaria della società.

Se così stanno le cose, e così stanno, tocca allo Stato, come stiamo facendo, mantenere saldamente la sicurezza e l'ordine pubblico, senza mai compromettere i diritti costituzionalmente garantiti e, proprio in questi giorni, primo fra tutti, il diritto a "manifestare pacificamente e senza armi" le proprie opinioni.
 
Ma tocca in egual misura ai singoli cittadini e a tutti i protagonisti del conflitto sociale e politico alzare le barriere contro ogni insidia illiberale, contro ogni comportamento illegale, contro ogni tentativo di violenza, come è avvenuto finora da Genova 2, a Firenze, a Roma e in numerose altre occasioni che hanno visto grandi manifestazioni di protesta trasformarsi in grandi eventi di democrazia.
 
Proprio per questo il Governo considera tutte le associazioni e i movimenti pacifici una autentica risorsa democratica del nostro Paese, e si guarda bene dal confonderli con i violenti di ogni grado, e tanto meno, con i  terroristi.

Ciò chiarito, ho il dovere di ribadire che anche la violenza politica diffusa e le relative forme di illegalità operano, seppure con minore intensità, nella stessa direzione delle BR: e cioè l'inquinamento e la deviazione del conflitto politico- sociale dal suo naturale alveo democratico.

Vanno certamente in questa direzione - per limitare gli esempi all'anno appena trascorso - i 119 attentati incendiari e dinamitardi, le 1242 minacce rivolte a persone attraverso lettere, scritte murali o a mezzo telefono, i 30 episodi di intolleranza politica e razziale.

Pertanto, consentitemi di ripetere che non va in alcun modo sottovalutata la pericolosità di questi comportamenti "a bassa intensità eversiva": chi infrange le vetrine, chi formula minacce di morte ed esalta gli omicidi dei terroristi, chi arriva ad aggredire fisicamente l'avversario, chi incendia la sede di un partito, di un sindacato o di un'altra associazione, non solo si pone fuori dal confronto politico e dalla civile convivenza ma può, come il passato ci insegna, al verificarsi di determinate condizioni, favorire oggettivamente il ricorso alla lotta armata.

Bisogna dunque esercitare il massimo di vigilanza.

Senza indulgere a paralleli semplicistici e ove i certi fenomeni si accentuassero, non si può escludere in  prospettiva - e sottolineo, in prospettiva - una interrelazione tra l'area dell'illegalità politica e quella terroristico-eversiva, così come avvenne in passato, allorché le frange più estreme dell'Autonomia Operaia diedero vita al cosiddetto "terrorismo diffuso", che si poneva in posizione dialettica rispetto al "terrorismo selettivo" delle Brigate Rosse.

E allora coloro che predicano e praticano l'illegalità diffusa considerandola una forma estrema ma accettabile di protesta democratica, vanno, invece, fronteggiati e richiamati alla ragione, proprio in nome della legalità democratica.

E' possibile, Onorevoli colleghi, che dopo la sconfitta di domenica scorsa le BR-PCC ripieghino su posizioni più strettamente difensive, anche in attesa di capire fin dove potranno arrivare e fin dove potranno colpire le indagini appena avviate.

E' però probabile che esse reagiscano, per confermare la loro presenza e la loro criminale vitalità.

In ogni caso sarebbe stolto considerare ridimensionata la minaccia terroristica in Italia.

Sul campo restano attivi e pericolosi altri gruppi terroristici.

Mi riferisco agli anarco-insurrezionalisti: una vasta banda armata clandestina, con forti legami internazionali, la quale, anche in assenza di una direzione strategica e di un'organizzazione verticistica di stampo brigatista, ha tutte le caratteristiche di una associazione sovversiva. Ritengo anzi possibile una ripresa dell'interventismo anarchico, non solo per l'acutizzarsi della crisi irachena, ma anche per la volontà manifestata da taluni gruppi di innalzare il livello dello scontro con lo Stato, dopo il sostanziale fallimento, da Firenze a Roma, delle istanze estremistiche emarginate dalla stragrande maggioranza del movimento NO-GLOBAL.

Mi riferisco all'estremismo di Destra caratterizzato da personaggi che, a cavallo tra gli anni '70 e '90, hanno optato per una scelta rivoluzionaria, di contrapposizione violenta alle istituzioni democratiche. Essi appaiono ancora in grado di catalizzare energie giovani intorno a temi tipici del radicalismo politico-ideologico di matrice fascista o, addirittura, intorno a posizioni nichiliste.

Mi riferisco ancora agli altri gruppi di impronta marxista leninista che vedono le BR-PCC come "suprema istanza" della strategia della lotta armata. Ricordo, fra questi, gli NTA, attivi nel Nord-Est contro le basi militari americane e NATO e già da tempo alla ricerca di rapporti col terrorismo islamico presente in Italia; e ricordo ancora il Nucleo Proletario Rivoluzionario, il Nucleo di Iniziativa Proletaria Rivoluzionaria, i Nuclei Armati per il Comunismo, il Nucleo Proletario Combattente.

Accanto a questi si collocano altri sodalizi, ma in contrasto con la strategia "militarista" delle BR-PCC, i quali privilegiano il lavoro politico nelle masse, un lavoro da svolgersi in ambito intermedio tra attività pubblica e clandestinità: è, per diversi aspetti, il caso dei CARC (Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo) che hanno promosso una campagna volta a creare un nuovo "Fronte Popolare per la Ricostruzione del Partito Comunista".

Ecco, tratteggiato per grandi linee, questo è oggi il terrorismo italiano.
Il rischio è, che mentre subisce una grave sconfitta, esso possa trovare nuovi stimoli all'azione sia nello spirito di rivalsa delle nuove BR-PCC, sia nell'inasprimento del conflitto politico-sociale e nel diffondersi della violenza politica minore.

Signor Presidente, Onorevoli Colleghi!

Subito dopo i tragici fatti di domenica scorsa, si sono alzate unanimi, seppure con qualche diversità di accento, le voci dei vertici istituzionali, del Governo, dei partiti politici e della Società Civile contro le barbarie del terrorismo, in difesa dello Stato e delle sue Forze dell'Ordine.
L'Italia si è unita nel dolore e nell'indignazione per la morte di Emanuele Petri e il ferimento di Bruno Fortunato.
Quell'unità non deve venir meno. Deve anzi rafforzarsi, innalzandosi al disopra del contrasto sociale e politico, come elemento decisivo di coesione nazionale.

Per questo il Governo raccoglie l'esortazione del Segretario Generale della CISL alla mobilitazione di tutti i lavoratori; la raccoglie e la estende a tutti gli italiani, riprendendo le parole del Presidente del Consiglio, perché "spetta ancora una volta al popolo italiano, al Parlamento, alle Forze politiche e sociali reagire unitariamente e vigilare affinché i disegni del terrorismo siano sconfitti e le cause che le alimentano siano definitivamente sradicate".