Approfondimento
Problematiche relative agli immigrati dall'Argentina
A.N.U.S.C.A. - XXII Convegno Nazionale
Bellaria - Igea Marina (RN) 24-27/09/2002
"PROBLEMATICHE RELATIVE AGLI IMMIGRATI DALL'ARGENTINA"
Mercoledì 25 settembre 25 - 09 - 2002
Bellaria-Igea Marina
In tutti gli ordinamenti degli Stati del mondo occidentale è dato rilevare una
rapida evoluzione della materia di cittadinanza sia sotto l'aspetto culturale che giuridico
determinata, in particolare, da fenomeni diffusi che investono la società, quale quello dei flussi
migratori che, per quanto ci riguarda, nel corso degli ultimi anni hanno trasformato la vecchia
Italia dell'emigrazione in nuova terra di immigrazione.
Peraltro, il nostro Paese dispone nel mondo della formidabile risorsa rappresentata dalle
collettività all'estero verso le quali viene posta particolare attenzione soprattutto attraverso
l'adozione di politiche che possano agevolare l'inserimento dei nostri connazionali al più alto
livello possibile, valorizzandone contestualmente l'identità culturale italiana di cui essi sono
portatori.
In proposito, occorre ricordare che il Ministro dell'Interno in data 26.05.2002, in
piena armonia con le iniziative assunte dal Ministero degli Affari Esteri, ha adottato un decreto
finalizzato ad assicurare la reciprocità con gli altri Paesi europei che ammettono la doppia
cittadinanza, in deroga alle note disposizioni previste dalla Convenzione di Strasburgo del 6
maggio 1963, sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima.
Un effetto rilevante, ma non unico di tale decreto, sarà quello di consentire ai circa
700.000 italiani residenti in Germania di acquisire lo status civitatis tedesco senza incorrere
nella perdita della cittadinanza italiana, e questo già a decorrere dal prossimo 22 dicembre.
Ma anche lo specifico argomento dell'incontro può incastonarsi nelle premesse
rappresentando anch'esso un fenomeno migratorio verso il nostro Paese di stretta attualità e nei
cui confronti viene posta particolare attenzione, cercando le risposte che meglio possono
soddisfare le esigenze di coloro che ritornano nel Paese dei propri avi.
Desidero premettere che, relativamente ai procedimenti di riconoscimento della cittadinanza
in favore della categoria dei connazionali in argomento, non vi sono elementi nuovi sulle tematiche
connesse, ma piuttosto delle conferme circa la procedura già ampiamente consolidatasi.
La relazione verterà anche su talune problematiche vecchie e nuove connesse alle istanze di
riconoscimento della cittadinanza italiana conseguita iure sanguinis inoltrate da oriundi,
attualmente presenti sul territorio italiano a vario titolo, discendenti di nostri connazionali
emigrati all'estero, in particolare verso il continente americano per la maggior parte sul finire
del XIX ed agli inizi del XX secolo.
Per la spiegazione dell' accelerazione delle richieste occorre tener conto delle difficoltà
economiche e sociali che stanno investendo alcuni Paesi di pregressa emigrazione italiana, quali
l'Argentina ed il Brasile, che stanno determinando presso le nostre rappresentanze
diplomatico-consolari la presentazione in massiccio numero di domande di ricostruzione della
cittadinanza italiana da parte dei discendenti di cittadini italiani per nascita residenti
all'estero.
Tale pressione sta determinando ed anzi ha già determinato una crescente criticità operativa
della rete diplomatico-consolare che non è in grado di smaltire l'enorme afflusso di richieste
avanzate finora da centinaia di migliaia di oriundi italiani.
Le aspettative connesse all'attribuzione dello stato di cittadini italiani sono da
rinvenirsi, in particolare, nei benefici riservati ai cittadini metropolitani tra cui diritti
politici ed in primis quella fondamentale del voto esteso con la recente legge n. 459 agli italiani
iscritti in AIRE, ma anche quello di trasferirsi in altri Paesi dell'area nord-americana
senza necessità del preventivo visto di ingresso oppure di fissare la propria residenza nei Paesi
dell'Unione Europea per motivi di lavoro o di studio fruendo di tutti i diritti connessi nella
detenzione della cittadinanza europea.
Vorrei ricordare che la cittadinanza europea riconosce al cittadino di uno dei Paesi membri
dell'Unione il diritto di libera circolazione e di soggiorno, il diritto di voto attivo e passivo
per il Parlamento europeo e per le elezioni locali, la tutela diplomatica e consolare, il diritto
di petizione al Parlamento europeo ed altri minori, ma di uguale rilevanza.
Conseguire quindi per uno straniero non comunitario la cittadinanza europea equivale ad un
valore aggiunto che consente di arricchire la propria sfera giuridica dilatando le possibilità di
lavoro e di professione e quindi, in ultimo, la prospettiva di implementare le proprie condizioni
di vita in maniera estremamente sensibile.
Da qui la legittima, odierna aspirazione diffusa tra i discendenti di italiani emigrati
all'estero di ottenere il riconoscimento del nostro status civitatis, aspirazione che viene acuita
dalle condizioni di difficoltà economica e quindi sociale, in cui versano alcuni Paesi
sudamericani, in particolare l'Argentina verso cui in passato si è diretto il maggior flusso
dell'emigrazione italiana.
Occorre inoltre ricordare che già sul finire degli anni '80 del secolo scorso si era
manifestata la stessa tendenza, ugualmente proveniente dall'Argentina, anche allora colpita da una
pesante crisi economica che aveva determinato, come oggi, una forte pressione per il riconoscimento
della cittadinanza.
E' possibile ritenere che così come avvenne allora le enormi potenzialità di quel Paese, la
cui popolazione è in gran parte di origine italiana, possano consentire il superamento delle
odierne difficoltà di natura economico-finanziaria e che quindi nel medio periodo possa
normalizzarsi anche l' attività delle strutture consolari, oberate fino all'inverosimile dall'
ondata di richieste di riconoscimento del possesso della stessa naturalità italiana degli avi a suo
tempo emigrati in quel Paese dalle enormi ricchezze naturali e culturali.
Resta il fatto tuttavia della attuale dimensione del fenomeno della ricerca delle origini,
che può determinare, come dicevamo, l'apertura di nuove prospettive individuali per uscire dalla
tenaglia delle difficoltà economiche che investe una gran parte della popolazione residente in
Argentina.
Gli effetti si riverberano anche nel nostro Paese interessato attualmente dal rientro di
alcune migliaia di discendenti di almeno terza o quarta generazione di nostri antichi emigranti.
Ed ecco allora che le Autorità comunali e quelle di P.S. sono investite direttamente dal
fenomeno e risultano schiacciate tra le disposizioni vigenti per gli stranieri presenti nel nostro
territorio e la consapevolezza che, pur trattandosi di cittadini extracomunitari, appartengono al
nostro patrimonio umano che rappresenta, come detto, una enorme ricchezza per l'Italia, che non può
sottrarsi ai propri impegni morali e di solidarietà particolarmente nel momento di grave difficoltà
per i connazionali spinti al ritorno nella terra dei loro avi.
La gran parte degli operatori che si occupano della materia della cittadinanza sono a
conoscenza che il procedimento di riconoscimento del nostro status civitatis conseguito iure
sanguinis risulta disciplinato dalle disposizioni contenute nella circolare K.281 dell'8.4.1991,
emanata dal Ministero dell'Interno la quale, pur essendo anteriore alla legge di riforma della
materia del 5.2.1992, n.91, entrata in vigore il successivo 16 agosto del medesimo anno,
resta tuttavia pienamente in vigore atteso che la legge del 1992 non ha intaccato il principio
ispiratore, già presente nella previgente legge 15.6.1912, n. 555, della trasmissione della
cittadinanza per discendenza.
La normativa del 1992 si propone, infatti, lungo una linea di sostanziale continuità
con l'anteriore legislazione mediante la conferma dello ius sanguinis nella regolamentazione
dell'istituto dell'attribuzione della cittadinanza a titolo originario.
La scelta operata dal legislatore del 1992 conferma l'impianto normativo della legge n.
555/1912, in base al quale i discendenti di coloro che abbiano acquisito per nascita la
cittadinanza italiana potranno acquistarne o recuperarne il possesso secondo modalità privilegiate.
Si tratta in sostanza di una scelta, già presente, come detto, nella legge del 1912
indirizzata a garantire il principio di nazionalità nell'assegnazione dello status civitatis,
secondo la tradizione propria degli ordinamenti giuridici europei continentali fortemente
influenzati dal pensiero romantico sorto intorno all'idea di nazione.
Pertanto, tra le normative succedutesi negli ultimi 90 anni non si rinvengono soluzioni di
continuità nell'istituto dell'attribuzione della cittadinanza a titolo originario, di talché sin
dal 1912, ma anche anteriormente con il C.C. del 1867, può ritenersi italiano il discendente di
cittadino seppur nato all'estero ed ivi sempre residente.
Al riguardo, giova evidenziare che è fondato giuridicamente il riconoscimento della
cittadinanza anche ai discendenti di un soggetto emigrato da uno degli Stati preunitari prima della
proclamazione del Regno d'Italia alla condizione che fosse vivente alla data del 17.3.1861
(proclamazione del Regno)
Tale favorevole interpretazione trova fondamento nel disposto dell'articolo 11 del Codice
Civile del 1867 che non esclude il conseguimento della cittadinanza italiana in favore di chi fosse
emigrato all'estero ed ivi residente.
Si aggiunge che ulteriore condizione è che non avesse conseguito la cittadinanza di altro
stato.
In questo caso, infatti, sarebbe incorso nella perdita della sudditanza detenuta al momento
dell'emigrazione, con la conseguenza che la stessa non avrebbe avuto modo di convertirsi in
cittadinanza italiana.
Inoltre, come è noto, la trasmissione dovrà essere intervenuta esclusivamente per via
maschile fino al 31 dicembre 1947, mentre dal 1° gennaio dell'anno successivo, con l'entrata in
vigore della Costituzione repubblicana, sono da reputarsi titolari della cittadinanza anche i figli
di madre italiana. Ciò in relazione agli effetti della sentenza n.30 resa dalla Corte
Costituzionale in data 9 febbraio 1983 con la quale l'Alta Corte ebbe a dichiarare illegittima
sotto il profilo costituzionale l'art.1 della della legge n.555/1912 nella parte in cui non
prevedeva la trasmissione della cittadinanza in derivazione materna.
I requisiti richiesti per il riconoscimento si basano, da un lato, sulla dimostrazione della
discendenza dell'odierno istante dall'avo emigrato originariamente investito ob origine dello
status di cittadino e, dall'altro, sulla comprovazione dell'assenza di interruzioni nella
trasmissione della cittadinanza ovvero della mancata naturalizzazione straniera dell'avo
dante causa, nonché nell'assenza di dichiarazioni di rinuncia allo status di italiani conseguito
jure sanguinis da parte dei suoi discendenti (art. 7 l. 555/1912 e sent. Cost. n. 30/1983).
Le condizioni poste sono da documentarsi con la seguente certificazione.
Relativamente alla mancata naturalizzazione straniera del capo stipite emigrato, dovrà essere
allegata all'istanza di riconoscimento il certificato rilasciato dall'Ufficio do Poder
judicial argentino da cui emergerà la non registrazione dell'avo.
Nell'ipotesi affermativa invece dovrà essere configurata la perdita della originaria
naturalità da parte del capo stipite emigrato e quindi la non trasmissione ai propri discendenti in
quanto la normativa vigente fino al 15 agosto 1992 sanzionava l'acquisto volontario di una
cittadinanza mediante la perdita di quella italiana (art. 8 della legge n. 555/1912).
Per quanto concerne invece la certificazione attestante che sia gli ascendenti, che la
persona che ne rivendica il possesso mai hanno rinunciato alla cittadinanza giova ricordare la
portata dell'art. 7 della legge n. 555 del 1912, che appunto prevedeva detta possibilità.
La facoltà di rinuncia, infatti, era riconosciuta ai discendenti del cittadino nati
all'estero in uno Stato il cui ordinamento attribuisse la cittadinanza per nascita sul proprio
territorio (criterio dello ius loci).
Quasi tutti i paesi del continente americano applicavano, soprattutto in passato e con molto
rigore tale criterio per l'attribuzione della cittadinanza.
La necessità dell'attestazione in argomento deriva dalla speciale disposizione del succitato
art. 7, secondo cui per tale categoria di connazionali (titolari della naturalità straniera
acquisita, per nascita in uno stato terso) l'unica modalità per incorrere nella perdita della
cittadinanza acquisita per discendenza era offerta dalla rinuncia mediante espressa manifestazione
di volontà.
Al riguardo, il legislatore del 1912 aveva fatto una scelta ben precisa tesa a far permanere
il legame tra il discendente e la patria di origine dell'emigrato.
L'attestazione dell'assenza di dichiarazioni di rinuncia viene rilasciata dal Consolato
competente svolgendo verifiche ai propri atti.
L'ulteriore documentazione da produrre a corredo delle istanze di riconoscimento del possesso
iure sanguinis della cittadinanza italiana è stata puntualmente indicata nella predetta circolare
K.28.1. emanata dal Ministero dell'Interno la cui validità e fondatezza giuridica non risulta
intaccata dalla entrata in vigore della legge n. 91/1992, per le motivazioni sopra illustrate.
Secondo quella direttiva, le istanze di riconoscimento corredate di tutta la prescritta
documentazione in essa indicata devono essere indirizzate al Sindaco del comune italiano di
residenza, ovvero al Console italiano nell'ambito della cui circoscrizione consolare risiede
l'istante straniero di ceppo italiano.
Pertanto, la competenza ad espletare il procedimento è attribuita all'Autorità - come sopra
individuata, vale a dire in relazione al luogo di residenza della persona interessata.
E' di palmare evidenza che la maggior parte delle istanze, all'attualità, viene presentata
all'Autorità consolare del luogo di residenza trattandosi di residenti all'estero.
La situazione è ulteriormente appesantita dalla vigenza della legge 14.12.2000 n. 379 rivolta
a soddisfare le aspettative delle comunità presenti all'estero dei discendenti degli ex sudditi
dell'impero austro-ungarico.
La normativa in argomento prevede, infatti, che le persone originarie dei territori
individuati all'art. 1, comma 1 della legge, già appartenenti all'impero austro-ungarico e ai loro
discendenti emigrati all'estero prima del 16 luglio 1920, ad esclusione dell'attuale Repubblica
Austriaca, possono ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana, qualora rendano una
dichiarazione in tal senso con le modalità di cui all'art. 23 della legge n. 91/1992, entro cinque
anni dalla data di entrata in vigore della legge (fino al 19 dicembre 2005).
Ciò accentua, come detto, l'ingolfamento delle strutture consolari in grado peraltro di
smaltire annualmente soltanto un numero esiguo di istanze di riconoscimento in rapporto a quelle
presentate o in via di presentazione.
Da notizie fornite direttamente da alcuni uffici consolari, questi, per soddisfare le
richieste stanno fissando appuntamenti per gli anni 2004-2005, di talché è stata ventilata
l'ipotesi di una presunta violazione di diritti soggettivi.
Al riguardo, occorre puntualizzare che paradossalmente gli stessi danti causa la cui
originaria cittadinanza italiana consente agli odierni richiedenti di poterne rivendicare il
possesso, omisero a suo tempo di richiedere la trascrizione degli atti di stato
civile che li riguardavano in Italia tramite il consolato competente, incidendo di fatto sul
diritto alla cittadinanza dei propri discendenti.
Questi ultimi anteriormente alla definizione della procedura potranno essere ritenuti
portatori di un diritto soggettivo infieri, ma che per il dispiegarsi degli effetti allo stesso
connessi dovrà comunque essere riconosciuto mediante la relativa procedura.
Conseguentemente resta l'interesse legittimo affinché il procedimento venga definito con la
maggior speditezza consentita.
Ed è proprio allo scopo di ridurne i tempi di espletamento che molti aspiranti cittadini,
oriundi nati in Argentina ed ivi effettivamente residenti, scelgono di recarsi nel nostro Paese
allo scopo di produrre direttamente, la documentazione di cui sono in possesso presso il comune
italiano che a volte coincide con quello di ultima residenza dell'avo emigrato.
Molti di costoro, tuttavia, sono presenti in Italia per motivi di breve durata, spesso
turistici, che consente loro di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per un periodo non
superiore a tre mesi.
Sulla possibilità di iscrivere comunque negli appositi registri anagrafici il cittadino
straniero (compreso quindi l'oriundo) sulla base di un titolo di soggiorno di breve durata si
sono delineate posizioni non convergenti.
Quella minoritaria ritiene che sia sufficiente il permesso di soggiorno, sebbene di breve
durata, perché l'interessato abbia titolo alla iscrizione anagrafica.
Secondo una simile interpretazione è sufficiente il permesso di soggiorno anche per meri
motivi turistici per ottenere l'iscrizione anagrafica che poi, per i fini che qui interessano,
individuerà nel Sindaco di quel Comune l'Autorità competente ex. art. 23 della legge n. 91/1992 a
ricevere l'istanza di riconoscimento.
A sostegno di questa posizione occorre dire che la normativa sulle anagrafi non esclude la
possibilità di iscrivere un soggetto straniero titolare di permesso di soggiorno rilasciato per
motivi turistici.
Risulta che alcuni comuni hanno fatto propria questa posizione.
Di contro viene invece sostenuto che il permesso di soggiorno per turismo non possa
configurare la dimora abituale e che, pertanto, non sia idoneo per l'iscrizione nell'anagrafe della
popolazione residente del comune di permanenza.
A supporto va rilevato che ha titolo all'iscrizione nell'A.P.R. di un comune la persona che
vi abbia la dimora abituale, in armonia con la definizione che della residenza è dettata dall'art.
43 del codice civile. Pertanto, non è sufficiente ai fini dell'iscrizione la semplice
manifestazione di volontà del soggetto, ma è anche necessario il verificarsi di un determinato
stato di fatto, costituito appunto dall'effettiva dimora abituale sul territorio comunale.
Questa posizione, a mio parere, appare concettualmente più condivisibile ed è anche quella
maggiormente seguita dagli operatori di stato civile e di anagrafe.
L'auspicio è comunque quello di poter addivenire quanto prima ad una posizione interpretativa
univoca.
Nel frattempo restano pienamente vigenti le previsioni contenute nella più volte menzionata
circolare n. K281 dell'8.4.1991 (scusate se ne ripeto gli estremi), secondo cui l'Autorità
competente per l'espletamento della procedura in argomento sia quella nella cui
circoscrizione territoriale l'aspirante cittadino mantiene la propria residenza, residenza intesa
nel senso delineato dal surricordato art. 43 del c.c., vale a dire la dimora abituale unita alla
volontà di permanere in quel luogo.
Relativamente agli adempimenti di spettanza delle Autorità competenti connessi e conseguenti
alla procedura di riconoscimento iure sanguinis della cittadinanza si ribadisce che in Italia
l'istanza dovrà essere diretta al Sindaco quale ufficiale del Governo e dovrà essere correlata da
tutta la documentazione prescritta ed indicata nella circolare n. K.28.1.
Trattandosi di cittadini stranieri non comunitari, cui si applica l'art. 3 del DPR n.
445/2000, non possono essere rilasciate dai medesimi dichiarazioni sostitutive di certificazione,
ad eccezione del certificato di attuale residenza da acquisirsi d'ufficio.
Inoltre, per i documenti rilasciati dall' autorità italiana, dovrà essere assolta l'imposta
di bollo, esclusi i casi di espressa esenzione.
Per gli atti formati all'estero è necessaria la legalizzazione da parte della competente
Autorità consolare italiana, salvo l'eventuale sussistenza di convenzioni internazionali che
la traduzione cui si applicano le disposizioni previste dall'art. 22 del DPR 3 novembre 2000, n.
396.
Una volta riscontrata la fondatezza giuridica della pretesa a seguito delle verifiche
documentali e dell' eventuale ulteriore attività accertativa che si rendesse necessaria attivare
presso gli altri comuni interessati ed i consolati italiani di pregressa residenza all' estero, l'
ufficiale di stato civile competente potrà procedere alla trascrizione dell' atto di nascita del
richiedente il riconoscimento della cittadinanza.
L' art. 17 del DPR 3.11.2000, n. 396, concernente la revisione e la semplificazione dell'
ordinamento dello stato civile, individua il comune competente presso i cui registri dovranno
essere trascritti gli atti ed i provvedimenti relativi al cittadino italiano formato all' estero.
Tra i vari criteri adottati per tale individuazione più rilevante appare quello riguardante
la residenza dell' interessato mantenuta o che vuole stabilire.
Ciò anche in ossequio al principio volontaristico sempre più recepito nelle materie di cui ci
occupiamo. Ed in tale ottica si ritiene che la trascrizione degli atti possa riferirsi
esclusivamente al diretto interessato, senza che tale adempimento debba riferirsi a tutti i suoi
danti causa, i quali si vedrebbero attribuita la cittadinanza a prescindere dalla loro volontà.
Una volta trascritto l' atto di nascita del richiedente ed
annotato (ex art. 49, c. 1, lett.
i) il riconoscimento iure sanguinis, gli atti presupposto dell' espletamento della procedura
dovranno essere tenuti quale allegato dell' esito del riconoscimento,
senza ulteriore attività provvedimentale.
Un simile "modus operandi" sembrerebbe aderire anche alla normativa sulla semplificazione e
snellezza dell' attività amministrativa, conseguendone infatti l' effetto di un notevole guadagno
riguardo la sburocratizzazione delle procedure.
In proposito occorre poi richiamare il contenuto della recente circolare del Ministero dell'
Interno n. K.60.1/5 dell' 8 gennaio 2001 laddove gli adempimenti di stato civile illustrati
connessi al riconoscimento, ex sentenza costituzionale n. 87/1985, del possesso ininterrotto della
cittadinanza in favore delle donne coniugatesi con cittadino straniero a decorrere dal 1° gennaio
2001 e dei loro discendenti.
Le istruzioni impartite appaiono aderire ai predetti principi cui sempre più va uniformandosi
l' attività della Amministrazione Pubblica, salvaguardando altresì la volontà manifestata
esclusivamente dai diretti interessati.
Ulteriore aspetto che suscita motivi di preoccupazione e spesso anche irritazione dei diretti
interessati, riguarda la modificazione del comune e l' adattamento a quello spettante per la legge
italiana.
L' articolo 98 del D.P.R. n. 396/2000 stabilisce che l' Ufficiale dello stato civile,
nel trascrivere l' atto di nascita relativo ad un cittadino italiano nato all' estero, deve
correggerne il nome se diverso da quello previsto dal nostro ordinamento.
La problematica è piuttosto nota agli operatori del settore, riguardando non solo gli
oriundi, ma anche gli stranieri di origine medio-orientale ed i rimanenti del continente sud
americano, i quali conseguono la cittadinanza per naturalizzazione.
Il nostro, sotto questo profilo è un ordinamento piuttosto rigido a differenza di altri, dove
le generalità vengono attribuite tenendo conto della volontà dei diretti interessati.
In Germania, ad esempio, il cognome di famiglia può essere scelto dai coniugi ed essere
indifferentemente quello di origine della moglie o del marito.
Al contrario, come detto, per il nostro ordinamento, allorquando un cittadino di origine
straniera ottiene la cittadinanza italiana per riconoscimento iure sanguinis o per
naturalizzazione, vengono a lui imposte le generalità secondo le disposizioni vigenti nella
materia.
E' opportuno specificare, comunque, che nel caso mantenga la precedente cittadinanza, come
avviene per gli oriundi riconosciuti italiani, continuerà ad essere identificato dal Paese di
nascita, con le originarie generalità.
Nell' ipotesi in cui effettivamente venga configurato un danno grave conseguente al
cambiamento delle generalità, sarà sempre possibile esperire la procedura contemplata dall' art. 95
del suddetto decreto, che garantisce agli interessati il diritto di "richiedere il riconoscimento
del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai
autonomo segno distintivo della sua identità personale".
In conclusione ritengo che in questo particolare momento gli interessati alla
attribuzione della cittadinanza italiana presenti sul territorio nazionale abbiano la possibilità
di consolidare il radicamento nel nostro paese anche avvalendosi della normativa sull' emersione
del lavoro soprattutto nell' ipotesi in cui all' aspirazione di conseguire il nostro status
civitatis sia correlata la volontà di risiedere stabilmente in Italia, in particolare per motivi di
lavoro, contribuendo così alla crescita propria e della società che li accoglie.
Per tutte le altre fattispecie è auspicabile che nel breve periodo vengano rinvenute da parte
delle amministrazioni coinvolte nel fenomeno migratorio, in ragione delle specifiche competenze,
idonee soluzioni compatibili da un lato con le leggittime aspirazioni dei nostri connazionali non
metropolitani e, dall' altro, con la disciplina vigente nella materia posta a tutela dei fini
pubblici che persegue la nostra collettività.
Ritengo non si possa rifiutare l' accoglimento del prezioso capitale umano rappresentato dai
discendenti di coloro che in passato intrapresero l' aspra via dell' emigrazione onorando l' Italia
con i valori del lavoro e dell' italianità esportati nel mondo intero.
Guido Menghetti