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Approfondimento

Problematiche relative agli immigrati dall'Argentina



A.N.U.S.C.A. - XXII Convegno Nazionale
Bellaria - Igea Marina (RN) 24-27/09/2002

"PROBLEMATICHE RELATIVE AGLI IMMIGRATI DALL'ARGENTINA"

Mercoledì 25 settembre 25 - 09 - 2002
Bellaria-Igea Marina

In tutti gli ordinamenti degli Stati del mondo occidentale è dato rilevare una rapida evoluzione della materia di cittadinanza sia sotto l'aspetto culturale che giuridico determinata, in particolare, da fenomeni diffusi che investono la società, quale quello dei flussi migratori che, per quanto ci riguarda, nel corso degli ultimi anni hanno trasformato la vecchia Italia dell'emigrazione in nuova terra di immigrazione.
Peraltro, il nostro Paese dispone nel mondo della formidabile risorsa rappresentata dalle collettività all'estero verso le quali viene posta particolare attenzione soprattutto attraverso l'adozione di politiche che possano agevolare l'inserimento dei nostri connazionali al più alto livello possibile, valorizzandone contestualmente l'identità culturale italiana di cui essi sono portatori.
In  proposito, occorre ricordare che il Ministro dell'Interno in data 26.05.2002, in piena armonia con le iniziative assunte dal Ministero degli Affari Esteri, ha adottato un decreto finalizzato ad assicurare la reciprocità con gli altri Paesi europei che ammettono la doppia cittadinanza, in deroga alle note disposizioni previste dalla Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963, sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima.
Un effetto rilevante, ma non unico di tale decreto, sarà  quello di consentire ai circa 700.000 italiani residenti in Germania di acquisire lo status civitatis tedesco senza incorrere nella perdita della cittadinanza italiana, e questo già a decorrere dal prossimo 22 dicembre.

Ma anche lo specifico argomento dell'incontro può incastonarsi nelle premesse rappresentando anch'esso un fenomeno migratorio verso il nostro Paese di stretta attualità e nei cui confronti viene posta particolare attenzione, cercando le risposte che meglio possono soddisfare le esigenze di coloro che ritornano nel Paese dei propri avi.
Desidero premettere che, relativamente ai procedimenti di riconoscimento della cittadinanza in favore della categoria dei connazionali in argomento, non vi sono elementi nuovi sulle tematiche connesse, ma piuttosto delle conferme circa la procedura già ampiamente consolidatasi.
La relazione verterà anche su talune problematiche vecchie e nuove connesse alle istanze di riconoscimento della cittadinanza italiana conseguita iure sanguinis inoltrate da oriundi, attualmente presenti sul territorio italiano a vario titolo, discendenti di nostri connazionali emigrati all'estero, in particolare verso il continente americano per la maggior parte sul finire del XIX ed agli inizi del XX secolo.
Per la spiegazione dell' accelerazione delle richieste occorre tener conto delle difficoltà economiche e sociali che stanno investendo alcuni Paesi di pregressa emigrazione italiana, quali l'Argentina ed il Brasile, che stanno determinando presso le nostre rappresentanze diplomatico-consolari la presentazione in massiccio numero di domande di ricostruzione della cittadinanza italiana da parte dei discendenti di cittadini italiani per nascita residenti all'estero.
Tale pressione sta determinando ed anzi ha già determinato una crescente criticità operativa della rete diplomatico-consolare che non è in grado di smaltire l'enorme afflusso di richieste avanzate finora da centinaia di migliaia di oriundi italiani.
Le aspettative connesse all'attribuzione dello stato di cittadini italiani sono da rinvenirsi, in particolare, nei benefici riservati ai cittadini metropolitani tra cui diritti politici ed in primis quella fondamentale del voto esteso con la recente legge n. 459 agli italiani iscritti in AIRE, ma anche quello di trasferirsi in altri Paesi dell'area nord-americana  senza necessità del preventivo visto di ingresso oppure di fissare la propria residenza nei Paesi dell'Unione Europea per motivi di lavoro o di studio fruendo di tutti i diritti connessi nella detenzione della cittadinanza europea.
Vorrei ricordare che la cittadinanza europea riconosce al cittadino di uno dei Paesi membri dell'Unione il diritto di libera circolazione e di soggiorno, il diritto di voto attivo e passivo per il Parlamento europeo e per le elezioni locali, la tutela diplomatica e consolare, il diritto di petizione al Parlamento europeo ed altri minori, ma di uguale rilevanza.
Conseguire quindi per uno straniero non comunitario la cittadinanza europea equivale ad un valore aggiunto che consente di arricchire la propria sfera giuridica dilatando le possibilità di lavoro e di professione e quindi, in ultimo, la prospettiva di implementare le proprie condizioni di vita in maniera estremamente sensibile.
Da qui la legittima, odierna aspirazione diffusa tra i discendenti di italiani emigrati all'estero di ottenere il riconoscimento del nostro status civitatis, aspirazione che viene acuita dalle condizioni di difficoltà economica e quindi sociale, in cui versano alcuni Paesi sudamericani, in particolare l'Argentina verso cui in passato si è diretto il maggior flusso dell'emigrazione italiana.
Occorre inoltre ricordare che già sul finire degli anni '80 del secolo scorso si era manifestata la stessa tendenza, ugualmente proveniente dall'Argentina, anche allora colpita da una pesante crisi economica che aveva determinato, come oggi, una forte pressione per il riconoscimento della cittadinanza.
E' possibile ritenere che così come avvenne allora le enormi potenzialità di quel Paese, la cui popolazione è in gran parte di origine italiana, possano consentire il superamento delle odierne difficoltà di natura economico-finanziaria e che quindi nel medio periodo possa normalizzarsi anche l' attività delle strutture consolari, oberate fino all'inverosimile dall' ondata di richieste di riconoscimento del possesso della stessa naturalità italiana degli avi a suo tempo emigrati in quel Paese dalle enormi ricchezze naturali e culturali.
Resta il fatto tuttavia della attuale dimensione del fenomeno della ricerca delle origini, che può determinare, come dicevamo, l'apertura di nuove prospettive individuali per uscire dalla tenaglia delle difficoltà economiche che investe una gran parte della popolazione residente in Argentina.
Gli effetti si riverberano anche nel nostro Paese interessato attualmente dal rientro di alcune migliaia di discendenti di almeno terza o quarta generazione di nostri antichi emigranti.
Ed ecco allora che le Autorità comunali e quelle di P.S. sono investite direttamente dal fenomeno e risultano schiacciate tra le disposizioni vigenti per gli stranieri presenti nel nostro territorio e la consapevolezza che, pur trattandosi di cittadini extracomunitari, appartengono al nostro patrimonio umano che rappresenta, come detto, una enorme ricchezza per l'Italia, che non può sottrarsi ai propri impegni morali e di solidarietà particolarmente nel momento di grave difficoltà per i connazionali spinti al ritorno nella terra dei loro avi.
La gran parte degli operatori che si occupano della materia della cittadinanza sono a conoscenza che il procedimento di riconoscimento del nostro status civitatis conseguito iure sanguinis risulta disciplinato dalle disposizioni contenute nella circolare K.281 dell'8.4.1991, emanata dal Ministero dell'Interno la quale, pur essendo anteriore alla legge di riforma della materia  del 5.2.1992, n.91, entrata in vigore il successivo 16 agosto del medesimo anno, resta tuttavia pienamente in vigore atteso che la legge del 1992 non ha intaccato il principio ispiratore, già presente nella previgente legge 15.6.1912, n. 555, della trasmissione della cittadinanza per discendenza.
La normativa  del 1992 si propone, infatti, lungo una linea di sostanziale continuità con l'anteriore legislazione  mediante la conferma dello ius sanguinis nella regolamentazione dell'istituto dell'attribuzione della cittadinanza a titolo originario.
La scelta operata dal legislatore del 1992 conferma l'impianto normativo della legge n. 555/1912, in base al quale i discendenti di coloro che abbiano acquisito per nascita la cittadinanza italiana potranno acquistarne o recuperarne il possesso secondo modalità privilegiate.
Si tratta in sostanza di una scelta, già presente, come detto, nella legge del 1912 indirizzata a garantire il principio di nazionalità nell'assegnazione dello status civitatis, secondo la tradizione propria degli ordinamenti giuridici europei continentali fortemente influenzati dal pensiero romantico sorto intorno all'idea di nazione.
Pertanto, tra le normative succedutesi negli ultimi 90 anni non si rinvengono soluzioni di continuità nell'istituto dell'attribuzione della cittadinanza a titolo originario, di talché sin dal 1912, ma anche anteriormente con il C.C. del 1867, può ritenersi italiano il discendente di cittadino seppur nato all'estero ed ivi sempre residente.
Al riguardo, giova evidenziare che è fondato giuridicamente il riconoscimento della cittadinanza anche ai discendenti di un soggetto emigrato da uno degli Stati preunitari prima della proclamazione del Regno d'Italia alla condizione che fosse vivente alla data del 17.3.1861 (proclamazione del  Regno)
Tale favorevole interpretazione trova fondamento nel disposto dell'articolo 11 del Codice Civile del 1867 che non esclude il conseguimento della cittadinanza italiana in favore di chi fosse emigrato all'estero ed ivi residente.
Si aggiunge che ulteriore condizione è che non avesse conseguito la cittadinanza di altro stato.
In questo caso, infatti, sarebbe incorso nella perdita della sudditanza detenuta al momento dell'emigrazione, con la conseguenza che la stessa non avrebbe avuto modo di convertirsi in cittadinanza italiana.
Inoltre, come è noto, la trasmissione dovrà essere intervenuta esclusivamente per via maschile fino al 31 dicembre 1947, mentre dal 1° gennaio dell'anno successivo, con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, sono da reputarsi titolari della cittadinanza anche i figli di madre italiana. Ciò in relazione agli effetti della sentenza n.30 resa dalla Corte Costituzionale in data 9 febbraio 1983 con la quale l'Alta Corte ebbe a dichiarare illegittima sotto il profilo costituzionale l'art.1 della della legge n.555/1912 nella parte in cui non prevedeva la trasmissione della cittadinanza in derivazione materna.
I requisiti richiesti per il riconoscimento si basano, da un lato, sulla dimostrazione della discendenza dell'odierno istante dall'avo emigrato originariamente investito ob origine  dello status di cittadino e, dall'altro, sulla comprovazione dell'assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza ovvero della  mancata naturalizzazione straniera dell'avo dante causa, nonché nell'assenza di dichiarazioni di rinuncia allo status di italiani conseguito jure sanguinis da parte dei suoi discendenti (art. 7 l. 555/1912 e sent. Cost. n. 30/1983).
Le condizioni poste sono da documentarsi con la seguente certificazione.
Relativamente alla mancata naturalizzazione straniera del capo stipite emigrato, dovrà essere allegata all'istanza di riconoscimento il certificato rilasciato dall'Ufficio do  Poder judicial argentino da cui emergerà la non registrazione dell'avo.
Nell'ipotesi affermativa invece dovrà essere configurata la perdita della originaria naturalità da parte del capo stipite emigrato e quindi la non trasmissione ai propri discendenti in quanto la normativa vigente fino al 15 agosto 1992 sanzionava l'acquisto volontario di una cittadinanza mediante la perdita di quella italiana (art. 8 della legge n. 555/1912).
Per quanto concerne invece la certificazione attestante che sia gli ascendenti, che la persona che ne rivendica il possesso mai hanno rinunciato alla cittadinanza giova ricordare la portata dell'art. 7 della legge n. 555 del 1912, che appunto prevedeva detta possibilità.
La facoltà di rinuncia, infatti, era riconosciuta ai discendenti del cittadino nati all'estero in uno Stato il cui ordinamento attribuisse la cittadinanza per nascita sul proprio territorio (criterio dello ius loci).
Quasi tutti i paesi del continente americano applicavano, soprattutto in passato e con molto rigore tale criterio per l'attribuzione della cittadinanza.
La necessità dell'attestazione in argomento deriva dalla speciale disposizione del succitato art. 7, secondo cui per tale categoria di connazionali (titolari della naturalità straniera acquisita, per nascita in uno stato terso) l'unica modalità per incorrere nella perdita della cittadinanza acquisita per discendenza era offerta dalla rinuncia mediante espressa manifestazione di volontà.
Al riguardo, il legislatore del 1912 aveva fatto una scelta ben precisa tesa a far permanere il legame tra il discendente e la patria di origine dell'emigrato.
L'attestazione dell'assenza di dichiarazioni di rinuncia viene rilasciata dal Consolato competente svolgendo verifiche ai propri atti.
L'ulteriore documentazione da produrre a corredo delle istanze di riconoscimento del possesso iure sanguinis della cittadinanza italiana è stata puntualmente indicata nella predetta circolare K.28.1. emanata dal Ministero dell'Interno la cui validità e fondatezza giuridica non risulta intaccata dalla entrata in vigore della legge n. 91/1992, per le motivazioni sopra illustrate. Secondo quella direttiva, le istanze di riconoscimento corredate di tutta la prescritta documentazione in essa indicata  devono essere indirizzate al Sindaco del comune italiano di residenza, ovvero al Console italiano nell'ambito della cui circoscrizione consolare risiede l'istante straniero di ceppo italiano.
Pertanto, la competenza ad espletare il procedimento è attribuita all'Autorità - come sopra individuata, vale a dire in relazione al luogo di residenza della persona interessata.
E' di palmare evidenza che la maggior parte delle istanze, all'attualità, viene presentata all'Autorità consolare del luogo di residenza trattandosi di residenti all'estero.
La situazione è ulteriormente appesantita dalla vigenza della legge 14.12.2000 n. 379 rivolta a soddisfare le aspettative delle comunità presenti all'estero dei discendenti degli ex sudditi dell'impero austro-ungarico.
La normativa in argomento prevede, infatti, che le persone originarie dei territori individuati all'art. 1, comma 1 della legge, già appartenenti all'impero austro-ungarico e ai loro discendenti emigrati all'estero prima del 16 luglio 1920, ad esclusione dell'attuale Repubblica Austriaca, possono ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana, qualora rendano una dichiarazione in tal senso con le modalità di cui all'art. 23 della legge n. 91/1992, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge (fino al 19 dicembre 2005).
Ciò accentua, come detto, l'ingolfamento delle strutture consolari in grado peraltro di smaltire annualmente soltanto un numero esiguo di istanze di riconoscimento in rapporto a quelle presentate o in via di presentazione.
Da notizie fornite direttamente da alcuni uffici consolari, questi, per soddisfare le richieste stanno fissando appuntamenti per gli anni 2004-2005, di talché è stata ventilata l'ipotesi  di una presunta violazione di diritti soggettivi.
Al riguardo, occorre puntualizzare che paradossalmente gli stessi danti causa la cui originaria cittadinanza italiana consente agli odierni richiedenti di poterne rivendicare il possesso,  omisero a suo  tempo di richiedere la trascrizione degli atti  di stato civile che li riguardavano in Italia tramite il consolato competente, incidendo di fatto sul diritto alla cittadinanza dei propri discendenti.
Questi ultimi  anteriormente alla definizione della procedura potranno essere ritenuti portatori di un diritto soggettivo infieri, ma che per il dispiegarsi degli effetti allo stesso connessi dovrà comunque essere riconosciuto mediante la relativa procedura.
Conseguentemente resta l'interesse legittimo affinché il procedimento venga definito con la maggior speditezza consentita.
Ed è proprio allo scopo di ridurne i tempi di espletamento che molti aspiranti cittadini, oriundi nati in Argentina ed ivi effettivamente residenti, scelgono di recarsi nel nostro Paese allo scopo di produrre direttamente, la documentazione di cui sono in possesso presso il comune italiano che a volte coincide con quello di ultima residenza dell'avo emigrato.
Molti di costoro, tuttavia, sono presenti in Italia per motivi di breve durata, spesso turistici, che consente loro di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per un periodo non superiore a tre mesi.
Sulla possibilità di iscrivere comunque negli appositi registri anagrafici il cittadino straniero (compreso quindi l'oriundo) sulla base di un titolo di soggiorno di breve durata  si sono delineate posizioni non convergenti.
Quella minoritaria ritiene che sia sufficiente il permesso di soggiorno, sebbene di breve durata, perché l'interessato abbia titolo alla iscrizione anagrafica.
Secondo una simile interpretazione è sufficiente il permesso di soggiorno anche per meri motivi turistici per ottenere l'iscrizione anagrafica che poi, per i fini che qui interessano, individuerà nel Sindaco di quel Comune l'Autorità competente ex. art. 23 della legge n. 91/1992 a ricevere l'istanza di riconoscimento.
A sostegno di questa posizione occorre dire che la normativa sulle anagrafi non esclude la possibilità di iscrivere un soggetto straniero titolare di permesso di soggiorno rilasciato per motivi turistici.
Risulta che alcuni comuni hanno fatto propria questa posizione.
Di contro viene invece sostenuto che il permesso di soggiorno per turismo non possa configurare la dimora abituale e che, pertanto, non sia idoneo per l'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente del comune di permanenza.
A supporto va rilevato che ha titolo all'iscrizione nell'A.P.R. di un comune la persona che vi abbia la dimora abituale, in armonia con la definizione che della residenza è dettata dall'art. 43 del codice civile. Pertanto, non è sufficiente ai fini dell'iscrizione la semplice manifestazione di volontà del soggetto, ma è anche necessario il verificarsi di un determinato stato di fatto, costituito appunto dall'effettiva dimora abituale sul territorio comunale.
Questa posizione, a mio parere, appare concettualmente più condivisibile ed è anche quella maggiormente seguita dagli operatori di stato civile e di anagrafe.
L'auspicio è comunque quello di poter addivenire quanto prima ad una posizione interpretativa univoca.
Nel frattempo restano pienamente vigenti le previsioni contenute nella più volte menzionata circolare n. K281 dell'8.4.1991 (scusate se ne ripeto gli estremi), secondo cui l'Autorità competente per l'espletamento della procedura in argomento  sia quella nella cui circoscrizione territoriale l'aspirante cittadino mantiene la propria residenza, residenza intesa nel senso delineato dal surricordato art. 43 del c.c., vale a dire la dimora abituale unita alla volontà di permanere in quel luogo.
Relativamente agli adempimenti di spettanza delle Autorità competenti connessi e conseguenti alla procedura di riconoscimento iure sanguinis della cittadinanza si ribadisce che in Italia l'istanza dovrà essere diretta al Sindaco quale ufficiale del Governo e dovrà essere correlata da tutta la documentazione prescritta ed indicata nella circolare n. K.28.1.
Trattandosi di cittadini stranieri non comunitari, cui si applica l'art. 3 del DPR n. 445/2000, non possono essere rilasciate dai medesimi dichiarazioni sostitutive di certificazione, ad eccezione del certificato di attuale residenza da acquisirsi d'ufficio.
Inoltre, per i documenti rilasciati dall' autorità italiana, dovrà essere assolta l'imposta di bollo, esclusi  i casi di espressa esenzione.
Per gli atti formati all'estero è necessaria la legalizzazione da parte della competente Autorità consolare italiana, salvo l'eventuale sussistenza di convenzioni internazionali  che la traduzione cui si applicano le disposizioni previste dall'art. 22 del DPR 3 novembre 2000, n. 396.
Una volta riscontrata la fondatezza giuridica della pretesa a seguito delle verifiche documentali e dell' eventuale ulteriore attività accertativa che si rendesse necessaria attivare presso gli altri comuni interessati ed i consolati italiani di pregressa residenza all' estero, l' ufficiale di stato civile competente potrà procedere alla trascrizione dell' atto di nascita del richiedente il riconoscimento della cittadinanza.
L' art. 17 del DPR 3.11.2000, n. 396, concernente la revisione e la semplificazione dell' ordinamento dello stato civile, individua il comune competente presso i cui registri dovranno essere trascritti gli atti ed i provvedimenti relativi al cittadino italiano formato all' estero.
Tra i vari criteri adottati per tale individuazione più rilevante appare quello riguardante la residenza dell' interessato mantenuta o che vuole stabilire.
Ciò anche in ossequio al principio volontaristico sempre più recepito nelle materie di cui ci occupiamo. Ed in tale ottica si ritiene che la trascrizione degli atti possa riferirsi esclusivamente al diretto interessato, senza che tale adempimento debba riferirsi a tutti i suoi danti causa, i quali si vedrebbero attribuita la cittadinanza a prescindere dalla loro volontà.
Una volta trascritto l' atto di nascita del richiedente ed annotato            (ex art. 49, c. 1, lett. i) il riconoscimento iure sanguinis, gli atti presupposto dell' espletamento della procedura dovranno essere tenuti quale allegato      dell' esito del riconoscimento, senza ulteriore attività provvedimentale.
Un simile "modus operandi" sembrerebbe aderire anche alla normativa sulla semplificazione e snellezza dell' attività amministrativa, conseguendone infatti l' effetto di un notevole guadagno riguardo la sburocratizzazione delle procedure.
In proposito occorre poi richiamare il contenuto della recente circolare del Ministero dell' Interno n. K.60.1/5 dell' 8 gennaio 2001 laddove gli adempimenti di stato civile illustrati connessi al riconoscimento, ex sentenza costituzionale n. 87/1985, del possesso ininterrotto della cittadinanza in favore delle donne coniugatesi con cittadino straniero a decorrere dal 1° gennaio 2001 e dei loro discendenti.
Le istruzioni impartite appaiono aderire ai predetti principi cui sempre più va uniformandosi l' attività della Amministrazione Pubblica, salvaguardando altresì la volontà manifestata esclusivamente dai diretti interessati.
Ulteriore aspetto che suscita motivi di preoccupazione e spesso anche irritazione dei diretti interessati, riguarda la modificazione del comune e l' adattamento a quello spettante per la legge italiana.
L' articolo 98 del D.P.R. n. 396/2000 stabilisce che l' Ufficiale dello stato civile, nel trascrivere l' atto di nascita relativo ad un cittadino italiano nato all' estero, deve correggerne il nome se diverso da quello previsto dal nostro ordinamento.
La problematica è piuttosto nota agli operatori del settore, riguardando non solo gli oriundi, ma anche gli stranieri di origine medio-orientale ed i rimanenti del continente sud americano, i quali conseguono la cittadinanza per naturalizzazione.
Il nostro, sotto questo profilo è un ordinamento piuttosto rigido a differenza di altri, dove le generalità vengono attribuite tenendo conto della volontà dei diretti interessati.
In Germania, ad esempio, il cognome di famiglia può essere scelto dai coniugi ed essere indifferentemente quello di origine della moglie o del marito.
Al contrario, come detto, per il nostro ordinamento, allorquando un cittadino di origine straniera ottiene la cittadinanza italiana per riconoscimento iure sanguinis o per naturalizzazione, vengono a lui imposte le generalità secondo le disposizioni vigenti nella materia.
E' opportuno specificare, comunque, che nel caso mantenga la precedente cittadinanza, come avviene per gli oriundi riconosciuti italiani, continuerà ad essere identificato dal Paese di nascita, con le originarie generalità.
Nell' ipotesi in cui effettivamente venga configurato un danno grave conseguente al cambiamento delle generalità, sarà sempre possibile esperire la procedura contemplata dall' art. 95 del suddetto decreto, che garantisce agli interessati il diritto di "richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale".

In conclusione ritengo che in questo particolare momento gli interessati alla attribuzione della cittadinanza italiana presenti sul territorio nazionale abbiano la possibilità di consolidare il radicamento nel nostro paese anche avvalendosi della normativa sull' emersione del lavoro soprattutto nell' ipotesi in cui all' aspirazione di conseguire il nostro status civitatis sia correlata la volontà di risiedere stabilmente in Italia, in particolare per motivi di lavoro, contribuendo così alla crescita propria e della società che li accoglie.
Per tutte le altre fattispecie è auspicabile che nel breve periodo vengano rinvenute da parte delle amministrazioni coinvolte nel fenomeno migratorio, in ragione delle specifiche competenze, idonee soluzioni compatibili da un lato con le leggittime aspirazioni dei nostri connazionali non metropolitani e, dall' altro, con la disciplina vigente nella materia posta a tutela dei fini pubblici che persegue la nostra collettività.
Ritengo non si possa rifiutare l' accoglimento del prezioso capitale umano rappresentato dai discendenti di coloro che in passato intrapresero l' aspra via dell' emigrazione onorando l' Italia con i valori del lavoro e dell' italianità esportati nel mondo intero.


                                                                    Guido Menghetti